La malattia di Alzheimer o morbo di Alzheimer è la più comune causa di demenza. In Italia si stima che la demenza colpisca 1,2 milioni di persone. Diverse ricerche ipotizzano che il numero crescerà fino a 1,6 milioni nel 2030 e oltre i due milioni nel 2050.

Nonostante siano trascorsi più di cento anni dalla prima descrizione della malattia ancora oggi non se ne conoscono le cause. Attualmente la maggior parte degli scienzati ritiene non si tratti di un’unica origine, ma di una serie di fattori. Eppure ci sono ottime notizie.

E’ stata proprio in questi giorni scoperta una nuova molecola, l’anticorpo A13.

Lo studio è stato condotto brillantemente dai ricercatori della Fondazione Ebri “Rita Levi-Montalcini”, coordinato da Antonino Cattaneo, Giovanni Meli e Raffaella Scardigli in collaborazione con il Cnr, la Scuola Normale Superiore e il dipartimento di Biologia dell’Università di Roma Tre ed è stato pubblicato sulla rivista Cell Death and Differentiation.

Lo studio condotto sui topi ha mostrato come questa molecola sia in grado di ringiovanire il cervello, favorendo la nascita di nuovi neuroni e andando così a contrastare i difetti che accompagnano le fasi precoci della malattia.

Questa scoperta apre quindi nuove importanti possibilità di diagnosi e cura anche se ancora si è molto cauti sui pronostici futuri. Non è infatti detto che applicando questa molecola all’uomo si riesca al cento per cento a bloccare la malattia.  Solo nell’ultimo anno, almeno una mezza dozzina di aspiranti farmaci per l’Alzheimer provenienti da importanti case farmaceutiche (Lilly, Merck, Takeda, J&J, Pfizer) ha fallito, alcuni anche in fase avanzata di sperimentazione. Purtroppo non essendo ancora del tutto chiare le cause della malattia si combatte un nemico sconosciuto.

La ricerca è comunque importante per un duplice motivo, come spiegano gli stessi ricercatori, perchè da un lato ha dimostrato che, la diminuzione di neurogenesi, anticipa i segni patologici tipici dell’Alzheimer, e potrebbe quindi contribuire ad individuare tempestivamente l’insorgenza della malattia in una fase molto precoce e dall’ altro ha permesso di osservare dal vivo, nel cervello del topo, l’efficacia del nostro anticorpo nel neutralizzare gli A-beta oligomeri, alla base dello sviluppo della malattia.