Dopo il lungo periodo di quarantena, oggi finalmente un primo accenno di normalità con la riapertura di molte attività commerciali.

Una gioia ma non per tutti.

Secondo i psicologi ciò che in questa fase si andrà infatti a manifestare, in molti soggetti, è la sindrome della capanna. Vediamo come riconoscerla e di cosa si tratta.

I sintomi sono chiari: letargia, difficoltà di concentrazione, scarsa memoria, demotivazione, voglia di determinati cibi per calmare l’ansia e paura di uscire di casa.

Le prime descrizioni cliniche della sindrome della capanna risalgono al 1900, epoca della corsa all’oro negli Stati Uniti. I cercatori erano costretti a passare mesi interi all’interno di una capanna. L’isolamento, dettato dalla necessità di concentrare l’attività in determinati periodi dell’anno, faceva sentire i suoi effetti: rifiuto di tornare alla civiltà, sfiducia nei confronti del prossimo, stress e ansia.

Non è un vero e proprio disturbo mentale, ma è associato normalmente a una condizione particolare collegata a un lungo periodo di clausura, come per esempio una malattia, o una condizione patologica.

La casa in questi mesi di emergenza sanitaria è stata il nostro rifugio, l’idea di uscire fuori fa scattare la paura di essere a rischio. Uscire con la mascherina, i guanti, stare lontano dagli altri scatena una condizione di ansia tale da rinunciare a uscire di casa.

Cosa fare quindi? Prendersi tempo è la prima cosa da fare. Bisogna familiarizzare con questa nuova realtà e con le proprie paure, senza recriminarsi pensando di aver perso il controllo. Procedere gradualmente e a piccoli passi, ogni giorno un nuovo obiettivo. Importante ristabilire una routine giornaliera dividendo la giornata in momenti di lavoro, pulizia della casa, tempo per mangiare in modo sano e fare esercizio fisico e, cosa più importante, cercare di stabilire un’ora in cui uscire di casa.